Da qualche tempo a questa parte in Carriere Italia abbiamo deciso di sfidare la soggettività

Dialogando con i colleghi delle divisioni HR o con il management delle aziende, stiamo sempre di più ponendo questa domanda “cosa ti fa dire questo?” 

Questa domanda capita che blocchi l’interlocutore che, senza preavviso, si trova a dover sforzarsi di associare dati oggettivi (situazioni, azioni, eventi …) ad una determinata affermazione. Tendiamo a farlo spesso anche durante il feedback che l’azienda fornisce sui candidati che incontrano a colloquio chiedendo loro di restituirci cosa ha suscitato una determinata opinione. Domande semplici, ma che forse non siamo sempre abituati a farci.

 

Perché un’affermazione senza dati a supporto, resta e resterà sempre un’opinione.

 

Associare le impressioni, le percezioni ad elementi oggettivi non solo è in grado di confermare o negare l’ipotesi iniziale ma la rende certamente più solida e fonte di informazione “sana”.

Questo sforzo di oggettività trova la massima espressione nei people analytics, tema ad oggi in grande evoluzione. 

È incredibile come sul mercato ci siano numerosissimi strumenti di people analytics ma le aziende che utilizzano questi dati con un senso e per generare valore siano ancora poche. 

Riprendendo un’analisi dell’osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano: “La Direzione HR italiana è però ancora poco data driven: soltanto il 14% delle organizzazioni ha un approccio maturo alla gestione e all’utilizzo dei dati. Si tratta di realtà che analizzano i dati provenienti dai processi HR attraverso reportistica in real time o predittiva, hanno al loro interno figure che si occupano dell’analisi dei dati e li utilizzano per la presa di decisioni nella maggioranza dei processi.”

Per fare un paragone, è come il concetto di consapevolezza: è fantastico maturare una nuova consapevolezza ma se questa non genera un cambiamento o un ricarico energetico nella persona…a cosa serve davvero?

Prendiamo ad esempio una situazione di disallineamento. Il disallineamento nasce da una percezione ma se non sai da cosa è motivato in modo oggettivo, il rischio è quello di adottare una risposta istintiva, attivata dai i propri schemi, spesso poco interiorizzati e maturati in noi generando difficoltà e frustrazione nella gestione della situazione. 

Se il disallineamento è percettivo, la risoluzione del disallineamento deve trovare le radici nell’oggettività dei dati: con che tempi agire, quando agire, come agire è frutto dei dati che raccogliamo per prendere una decisione consapevole su come attivare e dove dirigere la nostra azione.

Un’altra provocazione…tutte le aree aziendali sono erogatori e analizzatori di dati, perché le Risorse Umane no? Questa resistenza al dato associato a performance e comportamenti, in questa specifica area, potrebbe essere espressione di una cultura che fatica ad avere una gestione consapevole delle emozioni…e se ti dicessimo che anche la gestione delle emozioni si può misurare? 

 

Ne parleremo nel prossimo articolo! 

 

Di: Francesca Bisi