Continuano gli approfondimenti con i nostri soci grazie alle interviste tematiche periodiche. Oggi tocca a Carlo Bisi, Fondatore di Carriere Italia che, di recente, ci aveva dato l’occasione di parlare della consulenza commerciale per lo sviluppo dell’Area Vendite della propria azienda cliente. Proprio da questo spunto siamo partiti per aprire un confronto insieme a lui, finendo a toccare anche altri temi sugli attuali cambiamenti del mercato del lavoro molto sensibili.Quindi, dopo aver chiacchierato con Laura Iacci a proposito di “Carriere femminili, differenze salariali e nuove professioni” e con Andrea Giusti di “Abusivismo nel recruiting professionale: come le aziende possono evitare di cadere nella trappola”, questa volta tocchiamo le corde sensibili dei dipartimenti Sales e del boom di dimissioni che sta coinvolgendo tutti gli altri settori.

 

INTERVISTA A CARLO BISI, AMMINISTRATORE DELEGATO CARRIERE ITALIA, PROFESSIONAL COACH PCC E SALES SENIOR CONSULTANT

 

Tra i soci CRESCITA di recente si è aperta una riflessione sul valore della corretta costruzione di una rete vendita aziendale. Dalla sua esperienza, qual è la situazione concreta in Italia?

Penso che il ruolo della società di selezione sia identificare l’allineamento valoriale e comportamentale dei candidati da presentare ed inserire nell’azienda cliente; le competenze tecniche sono più facilmente identificabili dall’azienda nel corso dei colloqui con la rosa di candidati presentati dalla società di selezione. Questo perché ormai tutti gli studi e le ricerche attestano che l’efficacia di un ruolo dipende per il 45% dalle competenze tecniche e per il 55% dalle competenze trasversali, quindi relazionali, comportamentali e valoriali. Questo non significa che le competenze tecniche contano meno, il concetto è che sono assolutamente necessarie, ma non più sufficienti.

Dieci anni fa un candidato in linea con le competenze tecniche era aderente al ruolo per l’80%, oggi soltanto per il 45%. Un po’ diversa è la situazione per i candidati in area vendita, per i quali le competenze relazionali e trasversali sono di fatto competenze tecniche.

Quali sono i problemi sostanziali che un’azienda cliente di solito cerca di risolvere affidando una selezione del personale a un professionista?

In questi casi credo che un selezionatore con esperienza di vendita sia un fattore differenziante. Non nego che la mia esperienza di oltre 20 anni nella vendita e nella direzione commerciale mi abbia permesso più di una volta di centrare il candidato più in linea, anche magari di fronte a qualche perplessità dell’azienda cliente; fortunatamente è sempre andata bene.

Questo della valutazione dell’area vendite del cliente è un tema molto caro a Carriere Italia che propone una definizione di “consulenza” piuttosto che di selezione: ritiene si tratti di un approccio facilmente applicabile alle aziende?

Inserire una o più figure di vendita significa impattare in modo significativo sui risultati, quindi è importante fare valutazioni accurate che vanno oltre il singolo candidato. È importante capire se l’inserimento avviene in un momento di sviluppo o di consolidamento (sono due profili diversi), comprendere la “cultura commerciale” dell’azienda che potrebbe essere coerente con i piani di sviluppo oppure non completamente allineata. Un venditore bravo a fare risultati in un’azienda molto focalizzata sui processi potrebbe avere difficoltà, così come un venditore abituato a processi ben definiti e ruoli altrettanto definiti, potrebbe non dare il meglio di sé in un’azienda in forte sviluppo.

Allineare politiche di sviluppo commerciale al profilo dei candidati è di fatto un’attività consulenziale, ed è importante avere esperienza di reti commerciali e strutture commerciali per essere di supporto al cliente in modo efficace con focus a medio termine

Parliamo di liberi professionisti: nei dipartimenti commerciali ce n’è sicuramente una presenza maggiore. Lei ritiene che questa sia una strategia di crescita sostenibile per le aziende?

Credo che il punto più importante sia avere consapevolezza di due aspetti che considero fondamentali: il punto di pareggio tra il costo fisso ed il costo variabile dei profili commerciali e equilbrio tra attività quantitative e attività qualitative delle persone di vendita; un libero professionista tende a svolgere solo le attività direttamente connesse alla propria provvigione, mentre spesso un dipendente ha troppo focus sulla parte qualitativa, visto che comunque lo stipendio è garantito insieme a benefit come auto telefono e computer.

Quindi alcune aziende commettono errori perché non considerano attentamente questi due aspetti e pensano che le persone di vendita seguano sempre le strategie dichiarate dall’azienda, ma per esperienza dico non è scontato, anzi.

Se non gestito correttamente un commerciale dipendente tende a “sedersi” e, se non gestito correttamente, un commerciale a partita iva tende a pensare solo alla propria provvigione. Sottolineo “se non gestito correttamente”, perché penso che il problema sia tutto in questo punto.

 

LO SCOPPIO DELLA BOLLA: LE DIMISSIONI VOLONTARIE DI MASSA

 

Ma non è solo boom di partite iva, quantomeno nel nostro Paese: ultimamente si legge sempre più spesso, in maniera preoccupante, di quanto siano alti i numeri dei professionisti che si dimettono. Cerchiamo di definire meglio il fenomeno: si tratta davvero di un dato eclatante? E qual è il suo contesto, ha davvero a che fare con i cambiamenti organizzativi introdotti con la crisi pandemica?

È ormai assodato che le dimissioni volontarie sono legate all’ambiente di lavoro e al clima organizzativo che si respira nelle aziende.

Prima della pandemia eravamo in una “centrifuga” fatta di abitudini, mentre stare in stare lontani dal luogo di lavoro ha permesso alle persone di valutare in modo più consapevole e oggettivo il livello di soddisfazione legato al proprio ruolo aziendale.

Credo che l’incremento dei liberi professionisti, in ogni settore aziendale e di mercato, sia un bene per la crescita delle persone, purtroppo non mi sembra che ci siano adeguati supporti sociali e fiscali per agevolare questi passaggi e per supportare le persone che si creano nuove attività. Quindi penso che questo fenomeno non sia legato ai cambiamenti organizzativi delle aziende, quanto piuttosto a nuove leve motivazionali e valoriali delle persone, e questo mi sembra un aspetto molto positivo che spingerà le aziende ad adeguarsi anche alle esigenze delle persone. Il cammino sarà lungo, ma credo che sarà molto interessante parteciparvi.

Quale ritiene siano le aspettative di questi lavoratori? È un risultato dell’aumento di competività nella domanda di certe specifiche figure? Della globalizzazione? Oppure ancora, sempre in conseguenza alle abitudini con il lockdown introdotto nel 2020, di un mercato sempre più in “remote working” che permette di entrare in grandi gruppi internazionali senza doversi trasferire all’estero?

Certamente per i profili commerciali e IT, oltre ai nostri sempre amati ingegneri, il futuro sarà molto roseo, come credo che nasceranno nuove professioni nell’area dei servizi, quindi maggiori opportunità di crescita e sviluppo per chi si mette in proprio; a questo dobbiamo aggiungere che sempre più aziende tendono a dare in outsourcing attività non strategiche oppure attività che permettono di sostituire costi fissi con costi variabili, ad esempio tutte le attività della divisione Risorse Umane, dell’area IT, seguendo l’esempio di logistica, paghe e altro ancora che già da tempo è spesso in outsourcing. Poi certamente ridurre i viaggi, incontrare via web colleghi residenti in altri Stati permette a persone che non ne avevano la possibilità di assumere ruoli che erano preclusi, anche solo per aspetti logistici.

Certamente non posiamo pensare che alla fine della pandemia tutto tornerà come prima, e questo è molto positivo e stimolante per noi che lavoriamo con le persone

Cosa dovremmo aspettarci nel giro di dieci anni?

Credo che dovremo abituarci ad una maggiore velocità: chi saprà adeguarsi crescerà molto rapidamente come persone e come azienda, ma temo che chi non comprenderà il nuovo scenario con la stessa velocità rischierà di essere estromesso dal mercato, come persona e come organizzazione. Siamo di fronte ad un salto di paradigma, latente da tanti anni  nelle persone e nelle aziende e finalmente portato alla luce, anche se da un’esperienza purtroppo drammatica come la pandemia.

 

Articolo preso da Associazione C.R.E.SC.IT.A.